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Chiesa santa
fatta di peccatori
(udienza di mercoledì 2 ottobre)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel «Credo» dopo aver professato: «Credo la Chiesa una», aggiungiamo
l’aggettivo «santa»; affermiamo cioè la santità della Chiesa, e questa è
una caratteristica che è stata presente fin dagli inizi nella coscienza dei
primi cristiani, i quali si chiamavano semplicemente «i santi» (cfr. At
9,13.32.41; Rm 8,27; I Cor 6,1), perché avevano la certezza che è l’azione
di Dio, lo Spirito Santo che santifica la Chiesa. Ma in che senso la Chiesa
è santa se vediamo che la Chiesa storica, nel suo cammino lungo i secoli,
ha avuto tante difficoltà, problemi, momenti bui? Come può essere santa una
Chiesa fatta di essere umani, di peccatori? Uomini peccatori, donne
peccatrici, sacerdoti peccatori, suore peccatrici, Vescovi peccatori,
Cardinali peccatori, Papa peccatore? Tutti. Come può essere santa una
Chiesa così?
Per rispondere alla domanda vorrei farmi guidare da un brano della Lettera
di san Paolo ai cristiani di Efeso. L’Apostolo, prendendo come esempio i
rapporti familiari, afferma che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se
stesso per lei, per renderla santa» (5,25-26). Cristo ha amato la Chiesa,
donando se stesso sulla croce. E questo significa che la Chiesa è santa
perché procede da Dio che è santo, le è fedele e non l’abbandona in potere
della morte e del male (cfr. Mt 16,18). È santa perché Gesù Cristo, il
Santo di Dio (cfr. Mc 1,24), è unito in modo indissolubile ad essa (cfr. Mt
28,20); è santa perché è guidata dallo Spirito Santo che purifica,
trasforma, rinnova. Non è santa per i nostri meriti, ma perché Dio la rende
santa, è frutto dello Spirito Santo e dei suoi doni. Non siamo noi a farla
santa. È Dio, lo Spirito Santo, che nel suo amore fa santa la Chiesa.
Voi potrete dirmi: ma la Chiesa è formata da peccatori, lo vediamo ogni
giorno. E questo è vero: siamo una Chiesa di peccatori; e noi peccatori
siamo chiamati a lasciarci trasformare, rinnovare, santificare da Dio. C’è
stata nella storia la tentazione di alcuni che affermavano: la Chiesa è
solo la Chiesa dei puri, di quelli che sono totalmente coerenti, e gli
altri vanno allontanati. Questo non è vero! Questa è un’eresia! La Chiesa,
che è santa, non rifiuta i peccatori; non rifiuta tutti noi; non rifiuta
perchè chiama tutti, li accoglie, è aperta anche ai più lontani, chiama
tutti a lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dalla tenerezza e dal
perdono del Padre, che offre a tutti la possibilità di incontrarlo, di
camminare verso la santità. «Mah! Padre, io sono un peccatore, ho grandi
peccati, come posso sentirmi parte della Chiesa»? Caro fratello, cara sorella,
è proprio questo che desidera il Signore; che tu gli dica: «Signore sono
qui con i miei peccati». Qualcuno di voi è qui senza i propri peccati?
Qualcuno di voi? Nessuno, nessuno di noi. Tutti portiamo con noi i nostri
peccati. Ma il Signore vuole sentire che gli diciamo: «Perdonami, aiutami a
camminare, trasforma il mio cuore»! E il Signore può trasformare il cuore.
Nella Chiesa, il Dio che incontriamo non è un giudice spietato, ma è come
il Padre della parabola evangelica. Puoi essere come il figlio che ha
lasciato la casa, che ha toccato il fondo della lontananza da Dio. Quando
hai la forza di dire: voglio tornare in casa, troverai la porta aperta, Dio
ti viene incontro perchè ti aspetta sempre, Dio ti abbraccia, ti bacia e fa
festa. Così il Signore, così è la tenerezza del nostro Padre celeste. Il
Signore ci vuole parte di una Chiesa che sa aprire le braccia per
accogliere tutti,che non è la casa di pochi, ma la casa di tutti, dove
tutti possono essere rinnovati, trasformati, santificati dal suo amore, i
più forti e i più deboli, i peccatori, gli indifferenti, coloro che si
sentono scoraggiati e perduti. La Chiesa offre a tutti la possibilità di
percorrere la strada della santità, che è la strada del cristiano: ci fa
incontrare Gesù Cristo nei Sacramenti, specialmente nella Confessione e
nell’Eucaristia; ci comunica la Parola di Dio, ci fa vivere nella carità,
nell’amore di Dio verso tutti: chiediamoci, allora: ci lasciamo
santificare? Siamo una Chiesa che chiama e accoglie a braccia aperte i
peccatori, che dona coraggio, speranza, o siamo una Chiesa chiusa in se
stessa? Siamo una Chiesa in cui si vive l’amore di Dio, in cui si ha
attenzione verso l’altro, in cui si prega gli uni per gli altri?
Un’ultima domanda: che cosa posso fare io che mi sento debole, fragile,
peccatore? Dio ti dice: non avere paura della santità, non avere paura di
puntare in alto, di lasciarti amare e purificare da Dio, non avere paura di
lasciarti guidare dallo Spirito Santo. Lasciamoci contagiare dalla santità
di Dio. Ogni cristiano è chiamato alla santità. (cfr: Cost. dogm. Lumen
gentium, 39-42); e la santità non consiste anzitutto nel fare cose
straordinarie, ma nel lasciare agire Dio. È l’incontro della nostra
debolezza con la forza della sua grazia, è avere fiducia nella sua azione
che ci permette di vivere nella carità, di fare tutto con gioia e umiltà,
per la gloria di Dio e nel servizio al prossimo.
C’è una celebre frase dello scrittore francese Léon Bloy; negli ultimi
momenti della sua vita diceva: «C’è una sola tristezza nella vita, quella
di non essere santi». Non perdiamo la speranza nella santità, percorriamo
tutti questa strada. Vogliamo essere santi? Il Signore ci aspetta tutti,
con le braccia aperte; ci aspetta per accompagnarci in questa strada della
santità. Viviamo con gioia la nostra fede, lasciamoci amare dal Signore...
chiediamo questo dono a Dio nella preghiera, per noi e per gli altri.
Non c’è cristiano senza Gesù
Se non c’è Gesù al centro ci sono altre cose. E al giorno d’oggi incontriamo
tanti cristiani senza Cristo, senza Gesù. Per esempio quelli che
hanno la malattia dei farisei e sono cristiani che mettono la loro fede e
la loro religiosità, la loro cristianità in tanti comandamenti: Ah devo
fare questo, devo fare quest’altro. Cristiani di atteggiamenti»: che
fanno cioè delle cose perchè si devono fare, ma in realtà non sanno
perchè lo fanno. Ma Gesù dov’è? si è domandato il Papa che ha
poi proseguito: Un comandamento è valido se viene da Gesù. Di
cristiani senza Gesù ce ne sono tanti, come quelli che cercano soltanto
devozioni, tante devozioni, ma Gesù non c’è. E allora ti manca qualcosa,
fratello! Ti manca Gesù. Se le tue devozioni ti portano a Gesù, allora va
bene, ma se rimani lì, allora qualcosa non va. Un uomo o una donna
che adora Gesù è un cristiano con Gesù. Ma se tu non riesci ad adorare
Gesù, qualcosa ti manca. La regola è: sono un buon cristiano se
faccio quello che viene da Gesù o che mi porta a Gesù perchè Lui è il
centro. Il segno è l’adorazione davanti a Gesù, la preghiera di adorazione
davanti a Gesù.
Cristiani senza
timore
vergogna o trionfalismo
Oggi nel mondo ci sono tanti cristiani senza risurrezione Il Papa
ha rivolto l’invito a ritrovare la strada per andare verso Gesù risorto lasciandoci
toccare da lui, dalla sua forza, perchè Cristo non è un’idea
spirituale, ma è vivo e con la sua risurrezione ha vinto il mondo.
Gesù è quello che vince, è il risorto e tuttavia spesso noi
non lo sentiamo, non ascoltiamo bene mentre la risurrezione
di Gesù è proprio il punto chiave della nostra fede. Il pontefice
si è riferito in particolare a quei cristiani senza Cristo risorto,
quelli che accompagnano Gesù fino alla tomba, piangono, gli vogliono
tanto bene, ma non sono capaci di andare oltre. In proposito ha
individuato tre categorie: i timorosi, i vergognosi e i trionfalistici. I
primi ha spiegato sono quelli della mattina della risurrezione, quelli
di Emmaus che se ne vanno, perchè hanno paura; sono gli apostoli
che si chiudono nel Cenacolo per timore dei Giudei; sono
persino quelle donne buone che piangono, come la Maddalena in
lacrime perchè hanno portato via il corpo del Signore. Del resto
i timorosi sono così: temono di pensare alla risurrezione.
La seconda categoria è quella dei vergognosi, per i quali confessare
che Cristo è risorto dà un po’ di vergogna in questo mondo tanto avanti
nelle scienze. In pratica si tratta di quei cristiani che distorcono
la realtà della risurrezione : per loro c’è una risurrezione
spirituale, che fa bene a tutto il mondo, una benedizione di vita;
ma in fondo hanno vergogna di dire che Cristo con la sua carne, con le
sue piaghe, è risorto.
Infine il terzo gruppo è quello dei cristiani che nell’intimo non
credono nel risorto e vogliono fare la loro risurrezione più maestosa di
quella di Gesù. Il papa li ha definiti i trionfalistici in
quanto hanno un complesso di inferiorità e assumono atteggiamenti
trionfalistici nella loro vita, nei loro discorsi, nella loro pastorale e
nella liturgia. Occorre allora recuperare la consapevolezza che Gesù è
il risorto. E per questo i cristiani sono chiamati senza timore, senza
paura e senza trionfalismo a guardare la sua bellezza, a
mettere il dito nelle piaghe e la mano nel fianco del risorto, di quel Cristo
che è il tutto, la totalità; Cristo che è il centro, Cristo che è la
speranza, perchè è lo sposo è il vincitore: E un vincitore ha
aggiunto rifà tutta la creazione.
L’albero della
croce
Storia dell’uomo e storia di Dio si intrecciano nella croce. È un mistero
immenso, che da soli non possiamo comprendere. Il pontefice ha detto che è
possibile comprendere un pochino il mistero della croce, in
ginocchio, nella preghiera, ma anche con le lacrime. Anzi
sono proprio le lacrime quelle che ci avvicinano a questo mistero.
Infatti senza piangere, soprattutto senza piangere nel cuore,
mai capiremo questo mistero. È il pianto del pentito, il pianto
del fratello e della sorella che guarda tante miserie umane e le guarda
anche in Gesù, in ginocchio e piangendo. E, soprattutto, mai soli!
Per entrare in questo mistero che non è un labirinto, ma gli assomiglia
un po’ abbiamo sempre bisogno della Madre, della mano della Mamma.
Maria ci faccia sentire quanto grande e quanto umile è questo mistero,
quanto dolce come il miele e quanto amaro come l’aloe. Sull’albero
della croce c’è la storia di Dio, che ha voluto assumere la nostra
storia e camminare con noi. L’apostolo Paolo riassume in poche
parole tutta la storia di Dio:Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di
Dio, non ritenne un privilegio di essere come Dio, svuotò se stesso assumendo
la condizione di servo, diventando simile agli uomini umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e una morte di croce. E
perchè lo fa si è chiesto il Papa? La risposta si trova nelle parole di
Gesù a Nicodemo: Dio, infatti, ha amato il mondo da dare il Figlio
unigenito, perchè chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita
eterna. Dio, ha concluso fa questo percorso per amore, non c’è
altra spiegazione.
Contemplare
Gesù mite e sofferente
Non è facile per i cristiani vivere secondo i principi e le virtù ispirati
da Gesù. Non è facile ma ha detto Papa Francesco è
possibile: basta contemplare Gesù sofferente e l’umanità
sofferente e vivere una vita nascosta in Dio con Gesù. Abbiamo
bisogno oggi della dolcezza della Madonna per capire queste cose che Gesù
ci chiede: È un elenco non facile da vivere: amate i nemici, fate del bene,
prestate senza sperare nulla, a chi ti percuote sulla guancia offri anche
l’altra, a chi ti strappa il mantello non rifiutare anche la tunica. Sono
cose forti. Ma tutto questo, a suo modo è stato vissuto dalla Madonna: la
grazia della mansuetudine, la grazia della mitezza.
Mitezza, umiltà, bontà, tenerezza, mansuetudine, magnanimità sono tutte
virtù che servono per seguire la strada indicata da Cristo. Riceverle è
una grazia. Una grazia che viene dalla contemplazione di Gesù.
Solo contemplando l’umanità sofferente possiamo diventare miti, umili,
teneri così come lui. Non c’è altra strada. Certo dovremo
fare lo sforzo di cercare Gesù, di pensare alla sua passione,
a quanto ha sofferto, di pensare al suo silenzio mite. Dunque per
essere buoni cristiani è necessario contemplare sempre l’umanità di Gesù e
l’umanità sofferente. Per rendere testimonianza? Contempla Gesù. Per perdonare?
Contempla Gesù sofferente. per non odiare il prossimo? Contempla Gesù
sofferente. Per non chiacchierare contro il prossimo? Contempla Gesù
sofferente. Non c’è altra strada .Queste virtù sono le stesse del
Padre che è buono, mite, magnanimo che ci perdona sempre e
le stesse della Madonna nostra madre. Non è facile,ma è possibile,
affidiamoci a Lei.
Dalle
chiacchiere malevole all’amore
verso il prossimo
Le chiacchere uccidono come e più delle armi.
Papa Francesco ha ricordato l’episodio evangelico nel quale Gesù rimprovera
colui che pretende di togliere la pagliuzza dall’occhio dell’altro senza
vedere la trave che è nel suo. Questo comportamento, il sentirsi
perfetti e quindi in grado di giudicare i difetti degli altri è contrario
alla mansuetudine, all’umiltà di cui parla il Signore, a quella luce
che è tanto bella e che è nel perdonare. Gesù usa una
parola forte: ipocrita. Quelli che vivono giudicando il prossimo,
parlando male del prossimo sono ipocriti perchè non hanno la forza, il
coraggio di guardare i propri difetti. Il Signore non dice su questo tante
parole, ma più avanti dirà: colui che ha nel suo cuore l’odio contro il
fratello è un omicida. Lo dirà anche l’apostolo Giovanni in una sua
lettera: chi odia il fratello cammina nelle tenebre e chi giudica il
fratello è un omicida. Dunque ha aggiunto Papa Francesco: ogni
volta che giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore, o peggio quando
ne parliamo con gli altri siamo cristiani omicidi. E questo non lo
dico io, ma lo dice il Signore e su questo punto non c’è posto per
le sfumature: se parli male del fratello uccidi il fratello. e
ogni volta che facciamo questo imitiamo il gesto di Caino, il primo
omicida. Infine ha aggiunto, quando usiamo la lingua per parlare
male del fratello e della sorella la usiamo per uccidere Dio, perchè
l’immagine di Dio è nel fratello, nella nostra sorella; distruggiamo quella
immagine di Dio.
Cristiani di
azione e di verità
C’è bisogno di cristiani di azione e di verità, la cui vita sia fondata
sulla roccia di Gesù, e non di cristiani di parole
superficiali come gli gnostici o rigidi come i pelagiani.
Papa Francesco ha individuato nella storia della Chiesa due classi di
cristiani: i primi, dai quali guardarsi sono i cristiani di parole,
cioè quelli che si limitano a ripetere Signore, Signore, Signore!
i secondi quelli autentici sono cristiani di azione, di verità. In
proposito ha evidenziato che da sempre c’è stata la tentazione di
vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo, l’unico che
ci dà la libertà per dire Padre a Dio; l’unico che ci sostiene nei momenti
difficili. Lo dice Gesù stesso con esempi concreti: « Cadde la
pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti» ma quando c’è
la roccia c’è sicurezza. Al contrario quando ci sono solo parole,
le parole volano, non servono. Si finisce in pratica nella tentazione
di questi cristiani di parole: un cristianesimo senza Gesù, un
cristianesimo senza Cristo. E purtroppo questo è accaduto e accade
oggi nella Chiesa. Si tratta di una tentazione che nella storia della
Chiesa è presente in maniera molto diversificata e ha dato vita a varie
categorie di cristiani senza Cristo tra le quali Papa Francesco ne
ha approfondite in particolare due. Quella del cristiano light,
che invece di amare la roccia, ama le parole belle, le cose belle
e si rivolge verso un dio spray, un dio personale, con
atteggiamenti di superficialità e di leggerezza. Questa tentazione
c’è ancora oggi: cristiani superficiali che credono sì in Dio, ma
non in Gesù Cristo, quello che ti dà fondamento. Il Papa li ha
definiti gli gnostici moderni quelli che cedono alla tentazione di
un cristianesimo fluido.
Alla seconda categoria appartengono invece quelli che credono che la
vita cristiana si debba prendere tanto sul serio da finire
per confondere solidità e fermezza con rigidità. Il Santo Padre li
ha definiti cristiani rigidi, che pensano che per essere cristiani è
necessario mettersi a lutto, prendendo sempre tutto sul serio,
attenti ai formalismi come facevano gli scribi e i farisei al tempo di
Gesù. Sono cristiani per i quali tutto è serio. Sono i
pelagiani di oggi, quelli che credono nella fermezza della fede. E
sono convinti che la salvezza è nel modo in cui io faccio le cose: devo
farle sul serio, senza gioia. Ce ne sono tanti. Non sono
cristiani, si mascherano da cristiani.
In definitiva queste due categorie di credenti, non conoscono Gesù, non
sanno chi sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la
libertà dei cristiani. E, di conseguenza non hanno gioia. I
primi hanno una certa allegria, superficiale; i secondi vivono
in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana,
non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perchè non sanno parlare
con lui. Perciò non trovano in Gesù quella fermezza che dà
la sua presenza. E oltre a non avere la gioia nemmeno hanno la
libertà. Chiediamo al Signore per intercessione di Maria la grazia
di non diventare cristiani di parole, sia con la superficialità
gnostica, sia con la rigidità pelagiana, per poter
invece andare avanti nella vita come cristiani fermi sulla roccia che è
Gesù Cristo e con la libertà che ci dà lo Spirito Santo.
La grazia della
gioia
Essere cristiano significa avere la gioia di appartenere totalmente a
Cristo, unico sposo della Chiesa., e andare incontro a
lui così come si va a una festa di nozze. Dunque la gioia e la
consapevolezza della centralità di Cristo sono due atteggiamenti che i
cristiani devono coltivare nella quotidianità.
Gesù si presenta come sposo: Lui è lo sposo. La Chiesa è la sposa.
E nel Vangelo ha precisato il Papa tante volte ritorna questa immagine:
le vergini prudenti che aspettano lo sposo con le lampade accese; la festa
che fa il padre per le nozze del figlio. Il Signore dice che
quando si è sposo non si può digiunare, non si può essere triste. Il
Signore qui ci fa vedere il rapporto tra lui e la Chiesa come nozze.
Da qui ha spiegato il motivo più profondo per cui la Chiesa custodisce
tanto il sacramento del matrimonio. E lo chiama sacramento grande perchè è
proprio l’immagine dell’unione di Cristo con la Chiesa. Quindi quando
si parla di nozze si parla di festa si parla di gioia; e questo indica
a noi cristiani un atteggiamento: quando trova Gesù Cristo e
incomincia a vivere secondo il vangelo, il cristiano deve farlo con gioia. Una
gioia perchè è una grande festa. Il cristiano è fondamentalmente
gioioso. Per rendere ancora più efficace l’immagine, il Papa ha
ricordato l’episodio del miracolo di Gesù alle nozze di Cana. Se non
c’è vino non c’è festa. Immaginiamo, ha detto: finire
quelle nozze bevendo tè o succo di frutta.... Non va. E la Madonna chiede
il miracolo. E così è la vita cristiana, caratterizzata proprio da
questo atteggiamento gioioso, gioioso di cuore.
Naturalmente, ha aggiunto il Pontefice ci sono momenti di croce,
momenti di dolore, ma c’è sempre quel senso di pace profonda. Perchè? La
vita cristiana si vive come festa, come le nozze di Gesù con la Chiesa.
Dunque il primo atteggiamento del cristiano che incontra Gesù, ha ripetuto
il Papa, è simile a quello della Chiesa che si unisce come sposa a Gesù.
È necessario perciò accogliere la novità del vangelo. Anche perché gli
otri vecchi non possono portare il vino nuovo. Gesù è lo
sposo della Chiesa, che ama la Chiesa e che dà la sua vita per la Chiesa.
Egli organizza una grande festa di nozze. Gesù a noi chiede la
gioia della festa. La gioia di essere cristiani. Ma
ci chiede anche di essere totalmente suoi; tuttavia se manteniamo
atteggiamenti o facciamo cose che non si addicono a questo essere
totalmente suoi, non fa niente: pentiamoci, chiediamo perdono e andiamo
avanti, senza stancarci di chiedere la grazia di essere gioiosi.
Pregare il
nostro Padre
Non c’è bisogno di sprecare tante parole per pregare: il Signore sa quello
che vogliamo dirgli. L’importante è che la prima parola della nostra
preghiera sia Padre. E’ il consiglio di Gesù agli apostoli quello
rilanciato da Papa Francesco in questa omelia.
Per pregare, ha detto in sostanza, non c’è bisogno di far rumore né di
credere che sia meglio spendere tante parole. Il Papa è andato anche oltre
affermando che la preghiera non va considerata come una
formula magica, non si fa magia con la preghiera. Come si deve pregare
allora? E’ Gesù che ce lo ha insegnato: «Dice che il Padre che è in cielo
sa di quali cose avete bisogno, prima ancora che glielo chiediate». Dunque,
la prima parola sia Padre. Questa è la chiave della preghiera. Senza dire,
senza sentire questa parola non si può pregare. E si è chiesto: Chi
prego? Il Dio Onnipotente? E’ troppo lontano. Questo io non lo sento, Gesù
neppure lo sentiva. Chi prego? Il Dio cosmico? Un po’ abituale in questi
giorni, no? Pregare il Dio cosmico. Questa modalità politeista che arriva
con una cultura superficiale.
Bisogna invece pregare il Padre, colui che ci ha generato. Ma non
solo: bisogna pregare il Padre nostro, cioè non il Padre di un
generico e troppo anonimo tutti, ma colui che ti ha generato,
che ti ha dato la vita, a te, a me, come persona singola. È
il Padre che ti accompagna nel tuo cammino, quello che conosce
tutta la tua vita, tutta; quello che sa ciò che è buono e quello
che non è tanto buono. Conosce tutto. Ma non basta ancora: Se
non incominciamo la preghiera con questa parola non detta dalle labbra, ma
detta dal cuore, non possiamo pregare come cristiani.
Ma si è chiesto ancora il Pontefice è un padre solo mio? E ha
risposto:no è il Padre nostro, perchè io non sono figlio unico. Nessuno
di noi lo è. Se io non posso essere fratello, difficilmente potrei
diventare figlio di questo Padre, perchè è un Padre di sicuro mio, ma anche
degli altri, dei miei fratelli. Da ciò, ha proseguito, discende
che se io non sono in pace con i miei fratelli non posso dire
Padre a Lui. E così si spiega come Gesù, dopo averci insegnato il
Padre Nostro, dice subito»: Se voi infatti perdonerete agli altri le loro
colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se non
perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
Ma è tanto difficile perdonare gli altri ha ripetuto il
Papa è difficile davvero, perchè noi portiamo sempre dentro il
rammarico per quello che ci hanno fatto, per il torto subito. Non si può
pregare conservando nel cuore astio per i nemici. Questo è difficile.
Si è difficile, non è facile. Ma ha concluso, Gesù ci ha promesso
lo Spirito Santo. È lui che ci insegna da dentro, dal cuore, come dire
Padre e come dire nostro, e come dirlo: facendo la pace con tutti i nostri
nemici.
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